Una giornata fredda e nebbiosa; trovarsi a passeggiare per delle strade sconosciute, nessun viso familiare, una lingua incomprensibile, immagini nuove e la sensazione di estraneità! Cammino per la strada alla ricerca di qualcosa ma non so bene di cosa, immagino che ci sia quello che sto cercando ma non so come e dove cercare. Sto cominciando a pensare che mi sbaglio e che a Konya non troverò quello che speravo, che è meglio spostarsi in un altra città…Con questi pensieri mi fermo a guardare una porta in legno intarsiata che sia apre proprio mentre la osservo; ne esce un uomo che mi sorride e in buon inglese mi dice” Please, come inside, you are welcome and maybe you’ll like!” Se ne va e lascia la porta aperta perchè possa entrare. Entro, un leggero tepore mi invade, accogliente e mi faccio avanti emozionata e felice anche se non so bene dove mi trovo e non so cosa fare lì e cosa ci si aspetti da me(almeno questo la mia mente mi suggeriva in quel momento!), ma so che adesso sono esattamente dove dovrei! Mi sento a disagio all’inizio: tutti mi guardano e mi trattano come fossi del luogo anche se è la prima volta sono qui. Una donna iraniana mi da il benvenuto e mi dice che mi trovo nella casa di un sufi e mi indica la strada per un ampia sale completamente ricoperta da tappeti persiani, dei divani accoglienti tutti intorno, una stufa a legno che riscalda l’ambiente, qualcuno seduto a chiaccherare, qualcuno a leggere versi in farsi; mi siedo e mi guardo per un pò intorno cercando lo sguardo benevolo di qualcun’altro che mi possa spiegare; l’uomo seduto a leggere versi in farsi, si alza e va a prendere un te e viene nella mia direzione offrendomelo con una delicatezza che mi ha scaldato il cuore…sono in una casa sufi tra fratelli sufi!
La casa di un sufi è luogo di tutti, accoglie chiunque senza distinzione, chi entra in in un certo senso è perchè vuole tornare “a casa”.
Rumi scriveva “Come, come, again, come!” invitando tutti a condividere in pace: in un era buia, caratterizzata da violenza e guerre, i suoi versi facevano innamorare dell’amore e il sentiero che indicava verso Dio era quello cuore. Rumi fu per l’Islam ciò che San Francesco fù per il Cristianesimo: una ventata di purezza, gioia, amorevolezza, pace in un periodo storico profondamente cupo e sanguinoso anche per motivi religiosi. Intorno ai 37 anni venne in contatto con una guida spirituale conosciuta come Shams Tabriz. Dopo averlo incontrato la sua vita cambiò: smise di insegnare e voleva passare giorno e notte in presenza di Shams perchè in lui vedeva Dio. Aveva stimolato qualcosa in Rumi e quando scomparve Mevlana entrò in uno stato di estasi; non incontrò nessuno per giorni e cantava e danzava giorno e notte ricordando l’Amato. Molte poesie vennero composte e andò anche in cerca di Shams ma quando non lo trovò realizzò che non aveva senso cercare ancora fuori poichè lui stesso era Divino e l’essenza divina poteva parlare attraverso di lui. Aveva trovato se stesso!
Rumi usava i versi, la musica e la danza come via per ricongiungersi a Dio e in particolare considerava la musica un mezzo potentissimo per aiutare i discepoli a focalizzarsi completamente sul divino.

Ad oggi nelle cerimonie dei sufi Mevlana la musica è importantissima, da accompagnamento per il Zikhr (suoni sacri ripetuti costantemente, che soprattutto in gruppo possono avere una potentissima funzione catartica e  portare ad una profonda pulizia emozionale – e per questo vengono usati anche a scopi di guarigione – e a far entrare in contatto profondamente con se stessi) oppure per il whirling, la danza dei dervisci, dove si ruota intorno, lasciando andare il proprio ego, centrandosi sul proprio cuore, fulcro per arrivare a Dio, inizia una danza che ci riconduce verso la nostra interiorità attraverso uno stato di estasi, in cui noi siamo solo un tramite tra il cielo (mano destra verso l’alto) e la terra (mano sinistra rivolta verso il basso).
Mashallah Huuu!

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